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natural installations - firenze (excerpt)

26.01.06_natural installations - crossing an interZone_installation
Fabbrica Europa Festival - Florence ITALY
Stazione Leopolda

(Annuario della Sardegna - fatti e persone – Bianca Marras)
Le installazioni che Marco Rocca riprende sono un simbolo, un albero di vita, un seme (un seme non di serra ma proprio della morfologia di quel luogo) che innesta la geografia del cuore alla geografia del territorio. Ogni città ha il suo deposito che dorme, e ogni deposito il suo spirito di vita. Ogni sua installazione è vista e realizzata in comunione con la memoria di quel luogo, facendosi interprete fedele del tempo storico che ad esso appartiene, ricapitolando un brano di vita. Le installazioni sembrano deposte come un segno, tra la natura che ormai le divora, una scheggia di legno che vuole essere parola di testimonianza perché la coscienza del presente non dimentichi. La fotografia vuole essere memoria e discernimento, che provochi e interroghi chi osserva e risvegli la coscienza: operazione che provoca inciampo allo sguardo e interroga il cuore al fine di sospingere a coltivare il rito dell’anamnesi, a esercitare lo spirito profetico sul presente, perché il futuro ci appartiene e ci attende con tutto il peso e l’opacità della polvere del tempo che la storia ha depositato sulle scarpe di chi cammina verso di esso.
In ogni città c’è un deposito che diventa archeologia industriale, pur custodendo intatta la memoria degli eventi, l’uomo spazza tutto per dimenticarsi delle anime che vi hanno circolato. Marco Rocca cattura con la macchina da presa un continuo indefinito work in progress, quasi una colonna sonora senza fine non verticale ma circolare-orizzontale capace di avvolgere tutti gli oggetti che vi abitano. L’artista ferma ogni volta nuovi sguardi che sospingono a intuire sentieri che conducono all’avvenire, senza l’oblio della memoria del vissuto dei luoghi, come storia di vita e di comunità. Il lavoro è comunque pervaso da una visione surreale ed onirica (accentuata dalle sovraesposizioni quasi “bruciate”) e da uno spirito di delirio: come quello di un bambino che ha scoperto un giocattolo che dà la vita e che le sue mani o il suo occhio, in questo caso, non vogliono più abbandonare.
Può circumnavigare oltre ogni orizzonte (come suggerisce il riferimento del sottotitolo ad una “Inter-Zone” burroghsiana) e su ogni mare deposita la sua bottiglia con il ricordo su ogni isola pone il sigillo del suo passaggio, incide la sua silenziosa orma di viandante che passa e inscrive la sua identità di visitatore. La ripresa, con quel battito di filo d’erba che si muove come uno still-life giapponese, è uno strumento con cui deporre un segno nel solco della terra, un segno capace di pensare al futuro. Ogni installazione individuale è come uno strumento musicale in una orchestra. Un oggetto concentra il nostro interesse, come uno strumento che esegue un solo accompagnato dagli altri sul fondo. Le immagini si fondono a quei suoni elettronici a loro volta intrecciati ad una melodia struggente in una unità indivisibile in cui non è più possibile distinguere l’audio dal video in un unica ipnotica armonia. L’occhio dell’autore registra nello spazio una collezione di oggetti che sembrano trasportare la propria vitalità proprio per il tramite di quella ruggine che li ricopre.Pellegrino per custodire la memoria delle cose e viandante verso il futuro: così ci appare l’artista cagliaritano…

 

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